La formazione del cosiddetto Catastro generale del Regno si inserisce nel contesto della gestione finanziaria dei territori conquistati da Napoleone mediante la seconda campagna d’Italia (1800), organizzata dopo il colpo di stato con cui nel 1799 aveva assunto il potere in Francia.
Fra i ministri della neo-istituita Repubblica italiana (1802-1805), scelti nel 1802 dal presidente Napoleone Bonaparte e dal vicepresidente Francesco Melzi d’Eril, si distinse Giuseppe Prina, al quale era stata affidata l’amministrazione delle Finanze. Quando, dopo l’incoronazione di Napoleone a imperatore dei francesi (2 dicembre 1804) anche la Repubblica italiana conobbe un’evoluzione, trasformandosi in Regno d’Italia (1805-1814) per l’incoronazione di Napoleone quale suo re (26 maggio 1805), Prina a differenza di altri mantenne la carica di ministro che gli era stata conferita in precedenza.
Laureato in giurisprudenza e uomo di grande efficienza, il ministro delle finanze Prina, piemontese di nascita ma avente sede per la carica a palazzo Marino a Milano, capitale del Regno, interpretò quindi con continuità per dodici anni, sino alla fine dell’età napoleonica, le richieste di politica fiscale del sovrano, finendo per essere a tal punto identificato con esse da venire brutalmente linciato dalla folla il 20 aprile 1814, alla diffusione della notizia a Milano dell’abdicazione di Napoleone avvenuta l’11 aprile con la firma del trattato di Fontainebleau che lo esiliava all’isola d’Elba.
Il gravoso incarico del ministro verteva inizialmente sul risanamento della catastrofica situazione finanziaria dei territori conquistati e quindi nell’approntamento di forme di tassazione per il drenaggio di risorse economiche che divenivano sempre più pressanti per il finanziamento delle continue campagne militari napoleoniche.
È in tale quadro che nel Regno d’Italia venne emanato da Napoleone il Decreto sulle Finanze per il 1807 (n. 16, del 12 gennaio 1807), un insieme di norme, generale e organico, che, su rapporto del Ministro delle Finanze, organizzava la riscossione delle contribuzioni dirette e indirette ed elencava il riparto delle spese per l’anno.
Per quanto riguarda le proprietà terriere con tale decreto si stabiliva da un lato un sistema fiscale provvisorio, fissando l’imposta prediale a denari cinquanta di Milano per ogni scudo d’estimo censuario (titolo IX del decreto), e dall’altro si disponeva la formazione di un Catastro generale del Regno (titolo VII). Di questo strumento venivano fissati i criteri generali, mentre quelli speciali erano demandati a un successivo regolamento, chiarendo tuttavia sin da subito che si sarebbe trattato di un catasto a misura e che la spesa per la realizzazione delle mappe topografiche e per la descrizione dei terreni sarebbe stata anticipata dal Ministero del Tesoro ma avrebbe poi dovuto essere in parte ad esso rimborsata da Dipartimenti e Comuni, ossia dai maggiori e minori comparti territoriali in cui il Regno d’Italia era stato diviso sin dal 1805 (decreto n. 46 dell’8 giugno 1805, divisione in Dipartimenti, Distretti, Cantoni e Comuni).
Il regolamento attuativo per la formazione del catasto del Regno d’Italia citato nel richiamato titolo VII venne emanato già tre mesi dopo, con decreto a firma del viceré Eugène (italianizzato nel testo come Eugenio) de Beauharnais figliastro di Napoleone (decreto n. 62 del 13 aprile 1807). La regia delle operazioni sarebbe stata statale, in capo al ministro delle Finanze, con spesa principalmente a carico ministeriale e dipartimentale nonché, per la quantità residuale pari a un decimo, a carico ai Comuni, il tutto, tramite un meccanismo di anticipo ministeriale e rimborso rateale annuale.
Certamente anche per la necessità di programmare e scaglionare l’ingente spesa, a livello generale veniva stabilito che si sarebbe provveduto nei vari dipartimenti per avvi in tempi differenziati, iniziando da subito, nel 1807 stesso, nei dipartimenti dell’Adriatico, Basso Po, Mella, Passariano, Piave, Tagliamento e nell’ex-principato di Guastalla.
Per il Dipartimento del Reno, con a capo Bologna (distretto I), di cui Imola costituiva il distretto II, le operazioni per la formazione del catasto furono invece intraprese nell’anno 1810 (decreto n. 38 del 2 marzo 1810), prevedendo l’impiego di 18 geometri.
Nel 1814, alla caduta del regime napoleonico le operazioni non erano terminate e pertanto il cosiddetto Catasto napoleonico non entrò mai in vigore.
Tuttavia si trattò di un’operazione dirompente, che segnò per molti territori un punto di non ritorno: ad esempio il restaurato potere pontificio fece tesoro dei puntuali rilievi compiuti e gli studi – grafici, computazionali e descrittivi – redatti durante l’età napoleonica servirono da base per la formazione del catasto deciso da papa Pio VII con motu proprio del 6 luglio 1816, poi noto come Catasto gregoriano dal nome del papa che lo attivò nel 1835.
Questo iter quasi in continuum con i catasti dei successivi regni restaurati che subentrarono nuovamente al governo dopo il Congresso di Vienna fa sì che nel dibattito archivistico contemporaneo, discostandosi da certa tradizione sedimentatasi nella pratica d’archivio, si ritiene spesso improprio parlare di Catasto napoleonico, in quanto il materiale documentario è spesso non chiaramente separabile da quello successivo, di revisione e/o di completamento.
Tuttavia se ci riferiamo al caso specifico delle mappe imolesi, di cui qui si descrive il restauro e tradizionalmente inventariate come serie del Catasto napoleonico, la distinzione risulta ancora possibile.
[CS, 14 mar. 2025]