In questa stanza virtuale della mostra cerchiamo di capire come le mappe furono disegnate.
Con descrizioni e immagini accompagneremo i periti nel loro lavoro, dapprima in viaggio poi sul campo e quindi nei loro studi professionali, addentrandoci nei metodi utilizzati a quel tempo per produrre un primo disegno tecnico del territorio e, dopo, le sue belle copie, secondo tecniche e laboriosità manuale che noi oggi, nell’era digitale, abbiamo dimenticato. [CS, 14 mar. 2025]

GLI STRUMENTI
La tavoletta pretoriana, gli accessori e le carte
Per fare un passo indietro di due secoli e capire come le mappe di cui parliamo furono disegnate, dobbiamo innanzitutto immaginare i periti incaricati che partono in carrozza o a cavallo dai loro luoghi di residenza per raggiungere i vari Comuni del distretto di Imola portando con sé tutta la strumentazione tecnica necessaria ad eseguire il lavoro.
Per prendere le misure dei terreni caricano fra i bagagli un’asta o una canna metrica lunga tre metri e una catena metallica di quindici metri, nonché picchetti vari da conficcare al suolo.
Per disegnare, racchiusi in una valigetta lignea, hanno gli elementi di un tavolo tecnico portatile da assemblare, la cosiddetta tavoletta pretoriana. Sul posto, ossia sui campi, dovranno infatti di volta in volta fissare fra loro, tramite speciali pezzi di raccordo, alcune parti lignee quali un robusto treppiede a punte metalliche e una particolare tavoletta che fungerà da supporto per il disegno, e alcune parti metalliche ossia la strumentazione tecnico-scientifica di corredo vera e propria da alloggiare sopra la tavoletta stessa. Questa consiste in una bussola di diametro di almeno un palmo, cioè di almeno dieci cm circa, per orientare il disegno della mappa rispetto al nord geografico; inoltre la cosiddetta alidada, strumento tecnico-ottico per traguardare a vista i punti notevoli e tracciarli sul foglio; e infine in un regolo metallico per delineare a matita le rette e che, a detta del regolamento per la formazione del catasto, dovrebbe avere i rapporti di riduzione impostati alla scala 1:2000 sulla base del nuovo sistema metrico decimale.
Poi ovviamente portano con sé carte di vario tipo, da quelle di grande formato sulle quali tracciare la mappa o sue porzioni a quelle per gli appunti che dovranno annotare (misure, nomi dei proprietari, toponimi, destinazioni d’uso, ecc.). [CS, 14 mar. 2025]

IL LAVORO SUL CAMPO
Il disegno della mappa di base e gli appunti
Quando i tecnici arrivano sul territorio del Comune da rilevare, si forma la squadra di lavoro. Il perito e il suo assistente sono infatti affiancati da due persone del luogo: un “indicatore”, ossia un esperto della zona che conosce appezzamenti, confini e quant’altro, e un assistente comunale che fa da tramite istituzionale e segue l’andamento delle operazioni di rilievo.
Il lavoro sul campo dura più giorni e il perito e il suo assistente soggiornano in loco, a spese dei Comuni.
Perché Napoleone chiede loro espressamente di dotarsi della tavoletta pretoriana?
L’imperatore aveva familiarità con questo strumento, essendo abituato a includere fra le reclute delle spedizioni militari anche disegnatori di sua fiducia che sapessero mappare all’istante i territori ignoti per consentire l’approntamento delle strategie di attacco o di difesa. In seguito i disegni potevano servire anche da base per celebrare le vittorie, come nel caso della seconda campagna d’Italia con la raccolta di illustrazioni sulla battaglia di Marengo ad opera di Carle Vernet che valse all’autore il conferimento della Legion d’Onore. Una mappa sbagliata d’altra parte poteva anche contribuire a compromettere l’esito del conflitto, come recenti studi avrebbero ipotizzato proprio nel caso della disfatta di Waterloo (si veda al proposito la pagina contente la bibliografia).
La tavoletta pretoriana, attrezzata con gli strumenti ottici adeguati e utilizzata da tecnici esperti, era quanto di più avanzato si potesse disporre per rilevare i terreni a misura. Questa sembra che sia stata inventata dal matematico boemo Johann Richter detto Praetorius (1537-1616) verso la fine del secolo XVI e all’epoca era in uso quindi da circa due secoli.
I tecnici incaricati del rilievo dei territori imolesi per la redazione del Catasto napoleonico, quasi tutti sembra di formazione bolognese, potevano contare su validi insegnamenti in tal senso, considerato che ne era stato riconosciuto maestro il geometra Angelo Maria Ceneri di cui era stato dato alle stampe a Bologna, postumo nel 1728 e nel 1749, un manuale di geometria pratica e calcolo trigonometrico ad essa dedicato.
Il disegno delle mappe, come detto, deve essere redatto secondo il sistema metrico decimale.
Su questo i tecnici hanno dovuto da poco compiere un aggiornamento professionale. Napoleone aveva infatti introdotto tale sistema nella Repubblica d’Italia con la Legge sulle Misure e Pesi, n. 83 del 27 ottobre 1803, con l’obiettivo di stabilire uniformità anche in questo campo in tutto lo Stato. Nel testo si definiscono il metro e i suoi multipli e sottomultipli. Per quanto riguarda i terreni si stabilisce quindi che:
- la nuova misura è un quadrato di cento metri di lato, che viene chiamato tornatura;
la tornatura si divide in cento parti uguali, dette tavole, e ciascuna tavola è un quadrato di dieci metri di lato.
Si mantengono quindi le parole tornatura e tavola che erano in uso da secoli, con valori differenti da territorio a territorio perché multipli ad esempio del piede bolognese piuttosto che del piede imolese, ma si attribuisce loro un valore ancora diverso.
La legge dà inoltre un tempo non definito per “disposizioni preparatorie” consistenti nella pubblicazione di tavole di ragguaglio e nell’approntamento di campioni e per conoscere “l’effetto che avranno prodotto”, ma anticipa che una volta stabilito il giorno di avvio del sistema gli abusi saranno sanzionati. Da tale giorno gli atti pubblici nonché quelli di notai, “ragionati”, ingegneri, architetti, agrimensori e simili dovranno riportare il doppio sistema di misura, sia quello antico sia quello oggetto della nuova legge. In caso di contravvenzioni per i professionisti la pena sarà da tre a sei mesi di sospensione dall’esercizio e raddoppiata in caso di recidiva.
Il nuovo sistema metrico, con decreto del 30 ottobre 1810, sarà attivato definitivamente per tutto il Regno d’Italia a partire dal 1 gennaio 1811.
Queste norme e queste tempistiche ci chiariscono perché sulle mappe del catasto napoleonico – che il relativo regolamento impone di disegnare secondo il sistema metrico decimale assumendo come misura di superficie la pertica censuaria definita come la decima parte della tornatura – noi troviamo indicate anche le scale grafiche tradizionali: quando i tecnici iniziano a disegnarle, dal marzo del 1810, vige ancora il precedente decreto e quindi in vista della loro pubblicazione per le eventuali osservazioni dei cittadini viene fornito anche il riferimento al vecchio sistema di misura. Il doppio riferimento, non solo alla misura tradizionale imolese ma anche a quella bolognese, può essere poi anche spiegabile con tante differenti ragioni: gli atti dovevano essere facilmente consultabili anche da tecnici pubblici del Dipartimento del Reno con sede a Bologna, molti degli stessi periti erano di formazione bolognese, soprattutto per territori di confine poteva essere necessaria la consultazione di vecchi estimi con misure espresse in pertiche bolognesi.
Una volta sul campo insomma i periti devono dimostrarsi esperti anche nel nuovo sistema di misura, oltre a prendere molti appunti sulla natura dei terreni, i toponimi, i confini eccetera. [CS, 14 mar. 2025]

IL LAVORO IN STUDIO
Il riordino dei dati e il disegno delle belle copie
Uno degli aspetti più interessanti sulla formazione delle mappe, emerso già in fase di progettazione dell’intervento e poi approfondito durante il lavoro, è stata l’osservazione dei “buchi” di costruzione del disegno presenti sulle carte, osservazione che ha guidato le scelte dell’intervento stesso soprattutto in quei casi in cui queste presentavano una tela di rinforzo incollata al verso.
Per capire di cosa stiamo parlando torniamo a seguire il lavoro dei periti.
Una volta rientrati nei propri studi tecnici iniziano a lavorare alla migliore restituzione dei dati raccolti sul campo.
Innanzitutto riordinano i tanti appunti, controllano e definiscono il tracciato delle mappe ripassando poi ad inchiostro, con punta finissima, le linee a matita, i dettagli, i numeri di particella e quant’altro necessario.
Fatto questo, cioè una volta che hanno prodotto una versione semi-definitiva della mappa, devono trarre da essa le belle copie da consegnare alle istituzioni committenti.
Come fanno?
Scelgono una carta adatta, di maggior consistenza e pregio, la pongono sotto la mappa appena ultimata e iniziano a forare finemente quest’ultima in tutti i punti notevoli in modo da lasciare un’infinità di minuscole impronte sulla carta sottostante.
Una volta sollevata la mappa che ha funzionato da matrice, completano la bella copia, prima a matita, poi a penna, quindi ad acquerello, senza dimenticare di ornarla con cartigli, scale grafiche e rose dei venti maggiormente decorative.
Ecco che quindi ai nostri occhi, una volta capito questo, le “brutte copie” possono apparire ancora più belle delle “belle copie” acquerellate, perché ci parlano di questo perduto metodo di lavoro del passato. [CS, 14 mar. 2025]
OSSERVIAMO ALCUNI DETTAGLI
Uno degli aspetti più interessanti sulla formazione delle mappe, emerso già in fase di progettazione dell’intervento e poi approfondito durante il lavoro, è stata l’osservazione dei “buchi” di costruzione del disegno presenti sulle carte, osservazione che ha guidato le scelte dell’intervento stesso soprattutto in quei casi in cui queste presentavano una tela di rinforzo incollata al verso.
Per capire di cosa stiamo parlando torniamo a seguire il lavoro dei periti.
Una volta rientrati nei propri studi tecnici iniziano a lavorare alla migliore restituzione dei dati raccolti sul campo.
Come fanno?
Innanzitutto riordinano i tanti appunti, controllano e definiscono il tracciato delle mappe ripassando poi ad inchiostro, con punta finissima, le linee a matita, i dettagli, i numeri di particella e quant’altro necessario.
Fatto questo, cioè una volta che hanno prodotto una versione semi-definitiva della mappa, devono trarre da essa le belle copie da consegnare alle istituzioni committenti.
Come fanno?
Scelgono una carta adatta, di maggior consistenza e pregio, la pongono sotto la mappa appena ultimata e iniziano a bucare finemente quest’ultima in tutti i punti notevoli in modo da lasciare un’infinità di minuscole impronte sulla carta sottostante.
Una volta sollevata la mappa che ha funzionato da matrice, completano la bella copia, prima a matita, poi a penna, quindi ad acquerello, senza dimenticare di ornarla con cartigli, scale grafiche e rose dei venti maggiormente decorative.
Ecco che quindi ai nostri occhi, una volta capito questo, le “brutte copie” possono apparire ancora più belle delle “belle copie”, perché ci parlano di questo perduto metodo di lavoro del passato. [CS, 14 mar. 2025]